La vita degli psicologi è per certi versi affascinante e per altri un po’ difficile.

Esiste un continuum nella vita di uno psicologo tra: Persona che soffre e Psicologo che ha degli strumenti per stare bene.

“Gli psicologi sono tutti matti, sono loro i primi ad esserlo”, “ma tu sei psicologo, come fai a fare e dire queste cose proprio tu?” sono solo alcune delle frasi che spesso uno psicologo si sente dire da familiari, amici, partner e conoscenti quando in una particolare situazione di difficoltà, di sofferenza, l’aspettativa che il ruolo professionale abbia la meglio su quello personale diventa forte. Tutto ciò può rappresentare l’altra faccia del “con te non si può parlare perché fai sempre la psicologa”, “hai una spiegazione psicologica per tutto”, “lo so che mentre mi ascolti mi stai analizzando”, “smetti di fare la psicologa con me”. La vita degli psicologi è per certi versi affascinante, intrigante e per altri un po’ difficile.

Lo psicologo è un professionista che consegue una laurea come tanti altri: medici, architetti, avvocati, ingegneri… eppure l’anelito dello psicologo “strizzacervelli”, “capace di leggere nella mente come avesse la sfera di cristallo”, aleggia quando si viene a creare quella situazione normalissima, che si crea ogni giorno tra milioni di persone nel mondo, in cui uno parla e racconta di sé e l’altro ascolta e poi viceversa. Talvolta però accade che: uno psicologo, che ci si auguri abbia una buona formazione, che è stato capace di passare dalla teoria interminabile che propinano le università (in particolare quelle italiane) alla pratica (nel senso che ha lavorato su di sé attraverso la messa in discussione e anni di terapia personale volti a risolvere i propri conflitti), diventi uno capace di ASCOLTARE davvero, di fare spazio all’altro. Ascoltare, nel senso che quando qualcuno lo guarda e inizia a proferire parola lui diventa tutto orecchie, orecchie fuori su quello che viene detto, orecchie dentro sulle emozioni che prendono a circolare, sulle fantasie che si animano proprio lì con quella persona, sul corpo che inizia ad avere reazioni e sensazioni varie. Uno capace di stoppare o lasciare sullo sfondo preoccupazioni di tipo personale e stereotipi, pregiudizi, giudizi che (attenzione!) abbiamo tutti quanti di base (anche gli psicologi) in quanto (per fortuna! Vista l’economia cognitiva che ci permettono) è la struttura stessa della mente a funzionare in base a questi. MA, tornando a prima e arrivati a questo punto, viene quasi spontaneo chiedersi se: “ascoltare da psicologo” è più un talento o più una fatica? Posso assicurarvi che ascoltare una persona così, con tutte queste orecchie/consapevolezze simili a finistre che si aprono non è per nulla semplice. Si impiegano anni per imparare a farlo e una volta che accade si può anche decidere di chiudere l’interruttore durante una conversazione, si può anche decidere di aprire meno finistre, meno orecchie, meno sensibilità, certo che si può e non è per nulla semplice. Subentra una parte morale delle volte, come il medico che vede per strada un uomo sanguinante al bordo di un marciapiede o che gli chiede espressamente aiuto. Può prendere piede, dentro lo psicologo, la responsabilità verso il genere umano, che talvolta sconfina nel ruolo del “salvatore” (ti ascolto, ti consiglio, io ho gli strumenti per salvarti). La mente è intrisa di meccanismi complessi e anche semplici, per cui provare interesse autentico verso qualcuno, provare il piacere di essergli d’aiuto in qualche modo nel momento in cui si ha davanti una persona amica che lo richiede, che ricerca ascolto, attenzioni, consigli, posso assicurarvi che lasciare nell’angolo la valigetta con l’occorrente per medicare/tamponare “in emergenza” non è una cosa affatto semplice. Altro discorso ancora è la fantasia utopistica che lo psicologo non soffra, non viva delle dinamiche disfunzionali, non faccia errori anche gravi all’interno della sua vita e della sue relazioni. Anche qui, l’aspettativa è che se uno fa questo per lavoro, se ha le capacità per facilitare il benessere delle persone e il raggiungimento degli obiettivi che avvicinano a quella che è la felicità, l’autenticità, lo star bene, il primo a rappresentare tutto questo dovrebbe essere lui. Nell’immaginario collettivo, un bravo psicologo è colui che ha un buon lavoro, sposato, un bravo marito, un bravo padre, un bravo amico, un bravo figlio… un Bravo dappertutto insomma! Ciò significa che avendone gli strumenti dovrebbe doverli utilizzare di continuo, anche nella vita personale, per prevenire qualsiasi forma di malessere e sofferenza, adottando stili di vita sani e regolari, ritagliandosi spazi personali in cui ricaricarsi, circondandosi di persone nutrienti e non troppo “patologiche” che inneschino dinamiche disfunzionali, affrontando il dolore di petto (con la capacità di “stare”) e insomma facendosi vedere con stampato sul viso un “va bene, grazie, sto molto bene, tu come stai?”. Perché uno psicologo che racconta di avere un problema, a qualcuno che non sia il suo terapeuta, al mondo può fare davvero senso! Può apparire come uno incapace di risolvere i suoi di problemi, figuriamoci quelli degli altri! Perché certo, il medico eccellente, che ha studiato dieci anni di medicina con annessa specializzazione, se arriva a studio con una cicatrice non del tutto rimarginata è uno che di ferite non ne capisce nulla; è uno che non sa curarsi lui e quindi come può, attraverso una ricetta, consigliare i farmaci che risultano più efficaci dagli ultimi studi sul campo? Che poi, chi lo sa, cosa sta facendo quel medico lì per la sua ferita. Ci sono sofferenze a cui un farmaco, un palliativo, un consiglio, un breve arco di tempo, non bastano per risolverle nell’immediato. Ci sono ferite, cicatrici, che stanno lì, profonde, e si riaprono nel corso della vita quando un urto torna a riaprirle. E il lavoro è lavoro e uno psicologo non è un impiegato che ripete le stesse azioni ogni giorno senza che le emozioni sue e dell’altro lo coinvolgano. Il lavoro è lavoro e le emozioni, gli eventi di vita forti, possono riaprire le ferite più volte e non sempre i giorni di ferie sono disponibili per risolvere il tutto che a volte può essere un vero e proprio lutto. Certo è CHE: non è tanto il fatto che anche uno psicologo possa avere un problema non ancora risolto a dover essere un attimo attenzionato, quanto le cose che sta facendo per risolvere quel problema lì. Con quest’ultimo concetto intendo quanta consapevolezza abbia del problema che ha o con quanta forza invece nega che sia un problema; quante azioni sta svolgendo per risolverlo, ci sono ferite che non possono assolutamente essere medicate da sé, soprattutto quelle che non siamo capaci di avere a portata di mano e di vedere bene. Un po’ come averle sulle spalle, proprio al centro, al massimo uno specchio può aiutarci a scorgerne il profilo. In questi casi è assolutamente d’obbligo avere gli occhi di un Altro che vede da fuori, che ha le capacità e gli strumenti per poterci essere d’aiuto. Questo è importante per chiunque, ma ancor di più per lo psicologo che lavora con la sua persona e il suo mondo interno, che funge lui stesso in alcune fasi da specchio per l’altro o da cassa di risonanza e può trovare serie difficoltà nel fare spazio all’altro, nel distinguere tra ciò che è irrisolto in lui (e dunque è in circolo) e ciò che è irrisolto nell’altro e sta portando dentro quella stanza. Questo è il fine di questo articolo, l’importanza di ricordarci che dietro i ruoli esistono le persone e dietro le persone premono le loro storie, le loro infanzie, le loro ferite. E non esistono distinizioni nette ed etichette capaci di fare PER SEMPRE (in modo definitivo) di una persona che soffre “un paziente” e di una che fornisce supporto “uno psicologo”. Siamo tutti persone, fatte di pensieri, corpi, emozioni e vite che evolvono dentro e fuori di noi, eventi che ci colpiscono e creano attorno, dentro e fuori, battaglie di ogni tipo. La vita è un Continuum in cui ci si sposta a volte da un estremo all’altro, a volte (e sarebbe auspicabile per chiunque) per vie trasverse, scorciatoie, vicoli e strade di mezzo. Per questo e per altro, mi piace ogni giorno ricordarmi e ripetermi, ancor di più quando il bisogno di dire e di distinguere cosa è giusto e cosa non lo è per me e per l’altro: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile. Sempre. (Platone)”.

Be the first to comment

Lascia un commento