Le ali della libertà nel rapporto madre-figlia (Maleficent 2)

Malefica è la madre della bella addormentata nel bosco.  Ha le corna di un diavolo, veste gli abiti del colore del lutto e della notte, regina del mondo delle fate. Ma anche lei un tempo è stata buona. Chi lo direbbe di una regina del male, che un giorno si addormentò nel bosco fidandosi e affidandosi al vero amore.

Di rado si riesce a pensare che l’amore non porti con sé solo l’amore, ma anche il bisogno del potere. Può essere il volto di una donna o quello di un uomo, più facile che sia un maschile a voler raggiungere il trono. In Maleficent si è trattato di Stefano. Per molti, quel trono è rappresentato dall’altare nuziale. Per anni le chiese hanno giustificato dietro al matrimonio il sacrificio della donna a Dio e al suo uomo.

Quante donne perdono le ali della propria indipendenza fidandosi che si tratti del vero amore?

La rabbia che ne scaturisce è infernale, talvolta si trasforma in vendetta spietata contro la parte maschile esterna ed interna che ciascuno di noi possiede, al di là del sesso.

Il maleficio della donna ferita, a cui sono state tagliate le ali con l’inganno, in Maleficent è ricaduto sulla figlia del Re: “A sedici anni ti pungerai il dito e cadrai in un sonno profondo che solo il vero amore potrà ridestare”.

I sedici anni rappresentano il tempo delle mele e del risveglio ormonale, gli anni dell’inizio dello svincolo, della trasformazione della bambina-farfalla. Peccato che il mondo tenda poi all’integrazione degli opposti, bene e male vogliono anch’essi abbracciarsi quando ormai stanchi di lottare.

Dentro Malefica la rabbia nel tempo è scemata, al posto dell’odio è nato l’amore. Ha amato una bambina, figlia del maschile traditore, l’ha protetta fino alla fine, fino al pentimento del maleficio stesso, fino a scontrarsi col limite del non poter tornare indietro.

Perché il male che facciamo come un boomerang è da noi, sempre, prima o poi, che torna, per insegnarci la lezione.

Non è bastato portare un principino qualunque, Filippo, appena conosciuto da Aurora. Non è stato sufficiente il suo bacio a stampo poco saporito, per ridarle la vita. L’amore che risveglia, l’amore che fa la vita, racconta la Disney, non ha a che fare col maschile, ma sempre con la fonte originaria della vita: la madre. Solo le lacrime, solo il bacio sulla fronte di Malefica ad Aurora è stato capace di farla ridestare.

Ma non finisce qui, non basta che la figlia si risvegli perché il film possa dirsi concluso, quello della vita nemmeno.

La figlia è l’unica a poter restituire, con la gratitudine e con l’amore, le ali della madre spezzate dalla sete di potere del padre.

È lei a distruggere difatti la prigione di vetro appannato da cui a malapena le ali potevano essere scorte, mentre già si muovevano. È bastato poco, basta poco, per chiudere un cerchio e tornare alla vita e tornare all’amore.

Il potere di lasciarsi trasformare dall’amore consiste nel superamento di ogni dolore, di ogni rabbia, di ogni malincuore.

Solo così, abbracciando la parte bambina, prendendosi cura di lei, è possibile interrompere generazioni di maledizioni e dolori che padri e madri hanno inflitto inconsapevolmente ai propri figli, impedendo loro di accedere alla capacità di tornare a vivere e di amare.

Non lasciate che madri anziane, colpevolizzate da voi che un tempo siete state ferite dalla loro cecità emotiva, debbano ancora difendersi dai muri dei vostri dolori. Elemosinano e scontano una punizione, espiano delle colpe di cui non sono le vere colpevoli. Le madri delle vostre madri, le madri delle vostre nonne e ancora quelle delle vostre bisnonne, hanno pagato a caro prezzo le stesse pene.

Fatelo per voi e se non riuscite per le vostre figlie: l’abbraccio a una madre rappresenta il dono delle ali più preziose che potete ancora regalare a voi e a lei prima che sia lei a volare.

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