Esiste dentro ognuno di noi una voce che urla “Marlena torna a casa”

 

“Cammino per la mia città

Ed il vento soffia forte

Mi son lasciato tutto indietro e il sole all’orizzonte

Vedo le case, da lontano, hanno chiuso le porte

Ma per fortuna ho la sua mano e le sue guance rosse

Lei con la mano mi accarezza in viso dolcemente”

 

Ci sono canzoni che più di altre son capaci di parlare dentro di noi, di risuonare e rievocare dai nostri meandri immagini, ricordi e sensazioni. “Torna a casa” di Maneskine è una di quelle.
Per i più curiosi e appassionati, per chi la musica ha voglia di viverla dentro in modo diverso e nuovo, per chi le cose vuole viverle sulla pelle senza farsele scivolare, esiste un modo di vivere questa canzone un po’ diverso dal solito, un po’ più profondo, poetico, psicologico e riflessivo.

L’idea è quella di ascoltarla una prima volta immaginando di essere la Marlena che raccoglie il proprio partner ferito da terra, una donna che non dà ascolto alle dicerie e alle maldicenze della gente e suscita emozioni in chi viene accolto, dopo aver accarezzato dolcemente il suo viso.

Riascoltiamola poi una seconda volta e non siamo più nei panni di Marlena la salvatrice, ma la voce narrante ferita e in stato di abbandono. Adesso  immaginiamo qualcuno che vorremmo ci salvasse, pronto a soccorrerci al momento del bisogno, proprio durante una caduta o chissà, forse meglio parlare di ricaduta. Perché, a pensarci bene, non basta cadere una sola volta per imparare, A camminare poi, son necessarie varie di ricadute.

Saliamo ancora le scale, e riascoltiamo per la terza volta il brano, stavolta non siamo né Marlena La Salvatrice, né il povero ferito a terra ma, come in un gioco di specchi siamo entrambi, sempre noi, semplicemente in diversi momenti della nostra vita.

Ci bastano due episodi: nel primo siamo capaci di aiutare e offriamo cure, nell’altro chiediamo aiuto perché feriti. Mentre facciamo tutto questo, siamo noi quel bambino, quella donna, quell’uomo caduti in un dato momento e bisognosi. Possiamo smettere di aspettarci che qualcuno arrivi, possiamo attivare il nostro Superman interno, che arriva a soccorrerci e ci protegge, ci consola, ci accarezza, ci sta vicino con parole e gesti amorevoli e non ci abbandona.

 

“Col sangue sulle mani scalerò tutte le vette

Voglio arrivare dove l’occhio umano si interrompe

Per imparare a perdonare tutte le mie colpe

Perché anche gli angeli a volte han paura della morte”

 

IL BAMBINO FERITO attraversa le difficoltà, a volte senza ascoltare le sue ferite, a quanti capita? E spesso proprio questo non sentire diventa una molla che spinge, anche oltre i limiti, verso l’autodistruzione. Perché? Perché chi non sente di essere degno d’amore, sente invece la pressione ad espiare una colpa, un peso, tra tutti quello di essere nato indegno, con tutto questo dolore addosso che non c’è modo di zittire

 

“Che mi è rimasto un foglio in mano e mezza sigaretta

Corriamo via da chi c’ha troppa sete di vendetta

Da questa Terra ferma perché ormai la sento stretta

Ieri ero quiete perché oggi sarò la tempesta”

 

 

Alcuni esprimono il dolore mediante la propria arte – scrivere, dipingere, suonare, scolpire – altri fumano, si drogano, bevono, giocano d’azzardo, altri ancora possono dilettarsi in ambo le cose. In ogni caso è l’alternarsi dell’umore tra quiete e tempesta.

 

“Quindi, Marlena, torna a casa, che il freddo qua si fa sentire

Quindi, Marlena, torna a casa, che non voglio più aspettare

Quindi, Marlena, torna a casa, che il freddo qua si fa sentire

Quindi, Marlena, torna a casa, che non voglio più”

 

E quindi ancora, una parte di noi, quella sana, quella che sa stare bene e che qualche giorno prima anche esisteva, in alcuni momenti può andare via. Possiamo chiederle di tornare, possiamo diventare impazienti che essa torni e l’attimo dopo non volerla più di nuovo. Tutto può iniziare a oscillare.

 

“Prima di te ero solo un pazzo

Ora lascia che ti racconti:

Avevo un’ascia già sgualcita

E portavo tagli sui polsi

Oggi mi sento benedetto e non trovo niente da aggiungere

Questa città si affaccia quando ci vedrà giungere

Ero in bilico tra l’essere vittima, essere giudice

Era un brivido che porta la luce dentro le tenebre

E ti libera da queste catene splendenti, lucide

Ed il dubbio o no, se fossero morti oppure rinascite”

 

Arriviamo finalmente al capolinea, al traguardo, in un paradiso risolto, tra un passato in cui abbiamo contattato la nostra parte folle prima di attraversare l’inferno, prima di esserci ricongiunti con un’altra parte di noi, quella fatta di luce, quella parte amorevole che come una madre riconosce le ferite sui polsi del suo bambino e se ne prende cura, non lo lascia solo. L’esperienza di un bambino, di un uomo amato è quella di essere benedetto. La città, il luogo in cui si vive, non è più asettico, si trasforma. Adesso diventa una città che aspetta al varco il suo eroe, un eroe che abbraccia la sua parte femminile. Un eroe che è stato in guerra, in tribunale, che ha concluso il processo più importante della sua vita, tra il suo essere giudice e il suo essere vittima. Tutto questo significa smettere di vivere gli estremi, significa integrare luce e ombra che abbiamo dentro. Tutto questo è l’unico vero modo che abbiamo per liberarci dalle catene dell’inconsapevolezza ed essere veramente liberi di rinascere.

 

Quindi Marlena torna a casa, che il freddo qua si fa sentire

Quindi Marlena torna a casa, che non voglio più aspettare

Quindi Marlena torna a casa, che il freddo qua si fa sentire

Quindi Marlena torna a casa, che non voglio più sparire

Quindi, Marlena, torna a casa, che il freddo qua si fa sentire

“Quindi, Marlena, torna a casa, che ho paura di sparire”

 

In questi momenti cosa succede dunque? Di cosa abbiamo davvero bisogno?

Succede che dentro fa freddo, succede che se fossimo bambini avremmo bisogno di mamma, di dirle di tornare se si è allontanata, e se siamo grandi abbiamo bisogno di qualcuno che ci ama. Perché chi ha ferite profonde sul corpo spesso sperimenta la sensazione di sparire, il vuoto, il freddo che si fa sentire, la paura di sparire.

Convivono dentro ognuno di noi una Marlena salvatrice, madre, nutrice, e un bambino fragile, ferito che, al bisogno, necessita di cure. Possiamo smembrarci, e alcune volte succede quando cadiamo, e cercare la nostra Marlena fuori, l’amore della nostra vita capace di salvarci. A volte è necessario fare questo passaggio. Ma è il successivo quello davvero fondamentale: salvare la nostra parte più fragile con la Marlena che abbiamo dentro, semplicemente spenta e sopita, che aspetta solo di tornare a casa.

 

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