“L’amore è quello che fa ammalare o quello che cura?” IL MIO SESSO VIOLA ce lo racconta dentro un Romanzo

Quattro personaggi, forse due, forse una coppia sola, forse in realtà nessuna.

Perché coppia è quella in cui ci si ama in due e talvolta invece: quella in cui ci si è amati e, a un certo punto, uno dei due si è fatto cieco, sordo, boom!, è sparito. E cosa se ne fa di un amore finito, ancora pieno, ancora tutto dentro allo stomaco? Un amore a lungo amato e immaginato, vivido tra i ricordi come fosse un Sopravvissuto. Un amore in cui – a un certo punto che non è l’inizio – ci si interroga se sia esistito davvero e, se non è così, nasce il bisogno urgente di immaginarlo e sognarlo e magari persino di raccontarlo in un libro. 

Il mio sesso viola è il romanzo d’esordio in cui Cetty Costa ha preso a dar forma con le parole e a ritrarre insieme, a far abbracciare di quà e di là queste due arti e due (forse di più) delle sue parti, a tratti in conflitto, in altri a braccetto. Scene disegnate con le parole e ritratti raccontati con le matite, tempi che fanno avanti e indietro come un treno che parte e cambia verso, direzione, spesso addirittura destinazione.

Eppure, nonostante il dolore sparso, fin dall’inizio i personaggi sembrano sapere già – in fondo ai loro sensi aperti e al loro cuore – che tutto quello che accade è necessario per poter ripartire.

Perché ci sono pezzi di strada da fare, prove da superare (come per gli eroi – e chi non lo è davanti alle proprie battaglie importanti?) necessari ad evolvere, necessari a comprendere che l’amore che fa del male non è amore.

Cetty rivela con parole semplici tutto ciò. Con straordinaria spontaneità è capace di narrare, come farebbe un’amica che si racconta ad un’altra davanti ad un tè, in un bar, dopo lunghi pomeriggi trascorsi in casa a realizzare quanto accaduto. Un libro che prende la pancia, che tocca punti in cui ciascuno, con alte probabilità in questa vita o in un’altra, è stato toccato. Josè Arcadio Buendìa (che potrebbe chiamarsi Violet Trefus, che importa?) racconta il suo amore per Ursula (o forse Vita?), un amore che definisce fin dalle prime pagine come la sua “malattia”.

Una malattia che deforma vita e sensi, pensieri ed emozioni e prende a raccontarti che tu hai senso solo da quando nella tua vita è entrata un’altra persona, senza la quale valevi davvero poco.

E ancora, rivela e dice che parlare non serve a nulla, serve solo fare, fare e agire nel silenzio più assoluto, nel suono buio che fa un amore non corrisposto. Buio che si fa attesa, poi anche paura e infine distanza. È proprio questa distanza qui – che a un certo punto si viene a creare tra i due amanti – che apre il sipario all’immaginazione, a tutto quello che il protagonista direbbe e invece lascia soffocare in gola. Eppure, colpo di scena, è proprio in questo soffocare che riprende fiato: tornando indietro nel tempo, dentro la Rivoluzione Francese, dentro famosi romanzi d’amore, dentro le bende e le tradizioni delle mummie egiziane. Lettere, sogni fatti e poi scritti, poesie, email, sms forse realmente scambiati, forse no, sono gli escamotage letterari che Cetty sceglie per cambiare discorso, ambientazione e punto di vista (suo, dei suoi personaggi) e anche per farlo cambiare. Il mio sesso viola è un libro per pochi, è un libro che mentre lo si legge fa tornare apparentemente indietro, solo per prendere la rincorsa. È un libro che fa interrogare tanto su temi che accomunano, su dubbi che attanagliano l’esistenza di quanti sono desiderosi di amare e che, mentre amano, si rendono conto di soffrire e non trovano pace per questo. Il mio sesso viola – per quanto breve e da leggere in non più di qualche ora (eppure straordinariamente nuovo ogni volta che lo si rilegge) – è un’opera di spessore che racchiude un mondo d’amore.

È un mondo che non si spegne per il dolore che l’amore talvolta fa, ma che si alza, lotta mentre cambia e alla fine vince, rinasce e finalmente ce la fa, finalmente, in modo stavolta diverso, stavolta sano, torna ad amarsi, torna ad amare. 

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